Heidegger e Papa Francesco

“La tentazione di insistere è insidiosa, è moralmente lecito rinunciare all’applicazione di mezzi terapeutici, o sospenderli, quando il loro impiego non corrisponde a quel criterio etico ed umanistico che si definisce proporzionalità delle cure”. Va dritto al punto Papa Francesco nel convegno sul “fine vita” alla Pontificia Academia Pro Vita, come nel suo stile non lascia zone buie, spiega bene cosa intenda: parla di supplemento di saggezza necessario a quanti chiamati a discernere – usa bene questo termine, sulla scorta di Sant’Ignazio di Loyola – sull’opportunità o meno di proseguire con interventi terapeutici che non promuovano la salute integrale della persona; parla di proporzionalità delle cure.

Chiarissimo e chiarissimi anche i riferimenti a quanto affermato nel catechismo della Chiesa Cattolica e da Pio XII nel 1957 nonché dall’ex Sant’Uffizio nel 1980.

Heidegger, filosofo controverso, sottile e difficilissimo, si interrogò sull’essere e sul rapporto che questo ha con la tecnica. Vediamo: l’uomo per Heidegger è luogo dell’essere, l’unico essere che sa di esistere e che abbia la capacità di interrogarsi sullo stesso, di rielaborarlo, di trarre un quid che stia dietro ad ogni cosa; lo percepisce, anche se rimane come sorta di fondo oscuro ma al quale ci avviciniamo costantemente ed incessantemente. Bene, agendo attraverso la tecnica l’uomo svela l’essere, ovvero sia: se l’artigiano fa una sedia lo fa perché questa abbia uno scopo, dunque con la tecnica porta alla luce l’essere della sedia. Ma la questione nel caso dell’uomo e della tecnica può essere assai più complessa, quando non si producano solo oggetti ma ove si susciti la natura in qualcosa che altrimenti non farebbe da sé, come nel caso di farmaci o macchine o energie, per trarne un vantaggio o profitto, specifico che a quanto io ne sappia il filosofo non affrontò questioni inerenti precipuamente la medicina.

Se l’artigiano plasmando la materia dà ad essa una finalità che non avrebbe potuto essere altrimenti che quella, dall’altro c’è la tecnica moderna che attraverso la creazione di macchine, computer, medicine, mass media crea un sistema che sprigiona energie che interrogano l’essere stesso. Insomma, se costruisco una macchina che tenga in vita l’essere umano sto interpellando l’essere stesso sulla vita, sul suo senso, sul limite, sull’accettazione, e chi più ne ha più ne metta. Esattamente a questo punto, in questa riserva di significati, l’uomo perde la sua signoria sulla tecnica, non è più artigiano ma rischia di essere sopraffatto dai mezzi che crea, interpellato da essi di non saper rispondere.

Bene fa Papa Francesco a ricordare che serve un supplemento di saggezza e, soprattutto, di discernimento perché pare che se siamo diventati così bravi a creare oggetti o medicine, viva Dio, non siamo altrettanto bravi ad applicarli come e quando serva. Non che sia semplice, tutt’altro, ma ho il timore che la tendenza a vedere profitto e leggi del successo ovunque offuschi l’uomo sul suo vero essere creatura o, se si preferisce, mera unità biologica, finita. Nasciamo, viviamo e moriamo. Tutti. La sensazione che ho, però, è che viviamo per dimenticarcelo e sfuggiamo all’approfondimento che l’applicazione di certa tecnica richiede. In definitiva perdiamo il senso del reale.

8 comments

  1. Per Heidegger l’essere e’ capace di trarre un quid che sta dietro ad ogni cosa ma, sul fine vita e sulla relativa tecnologia credo che egli avrebbe avuto una posizione poco conciliante con l’atteggiamento di Papa Francesco, poiche’ Heidegger non concepiva il trascendente: la sua filosofia esistenziale e’ rivolta all’immanente, alla gettatezza dell’essere e tende ad escludere Dio, di cui ne parla in modo marginale. L’uomo stesso e’ un piccolo Dio e si trova nel mondo senza sapere come ci sia arrivato e, se Cartesio, ad esempio, riteneva che l’idea di Dio fosse una presenza assoluta e originaria, anche se non si sa come e perché ci sia, per Heidegger la questione nell’origine non si pone: non esiste alcuna “relazione al divino”: Si viene dall’oscurita’ e ci si dirige verso essa.
    L’ essere in quanto essere puo’ solo incamminarsi verso la dissoluzione ed ha la sua sublimazione nella possibilità estrema nella morte e il suo essere aperto, cioè la sua comprensione dell’essere proprio, comprende questa possibilità estrema fin dal principio.
    Di che utilita’ e giovamento sarebbe il prolungamento di una vita destinata alla gettatezza sin dal suo primo anelito e, soprattutto, quando non sarebbe nemmeno disprezzabile il suicidio?

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  2. Interpretare il pensiero di Heidegger è impresa alla quale mi accosto in punta di piedi. Mi sembra evidente però un interesse teologico confermato dalla biografia e dal fatto che fu maestro di Rahner. Antimetafisico sì ma non nichilista, senebbe a dire che il nulla nullifica… il problema è dove si cerchi Dio, credo.

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    • Non ammettendo l’esistenza di un Dio , di un “proprium”, cioe’ di un quid proprio della natura, l”uomo occupa cosi’ il posto di Dio, opera per la propria realizzazione ma nascendo dall’oscurita’ e non dalla “Luce” e’ ridotto ad un essere che procede dal nulla verso il nulla. Dio, che potrebbe giustificare e conferire un significato all’essere nell’esserci, rimane fuori discussione e cosi’ l’angoscia esistenziale, la paura della morte, si sostituisce alla speranza, alla certezza nell’aspettativa della vera vita. Mentre per Heidegger l’uomo ha la sola certezza del nulla, viceversa il credente, ha la certezza di conoscere il fine ed il senso ultimo della storia e questo nostro incedere verso l’eternita’ non e’ un’ “illusione” ed un rimedio alla angoscia ma un cammino di speranza che motiva e rigenera costantemente utta la nostra esistenza.

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      • La vedo cosi’, amavo heidegger ai tempi della scuola (per la mia prof. ,atea, era un mito…) ma ora mi e’ indifferente , lo stigmatizzo e mi “getto” su Sant’Agostino e S. Tommaso d’Aquino.

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  3. Per soprammercato io non sopporto chi era, consapevolmente, piu’ che colluso coi nazisti.
    Jean Danielou, tra i piu’ grandi teologi del ‘900 benche’ assai discusso, riteneva che per quanto ammirabili, i credenti dovrebbero prendere le distanze da certi personaggi, maestri del nulla.
    Saluti.

    PS: (Ma Bonhoeffer e anche lo stesso Karl Löwith , non costituirebbero uno studio piu’ salutare? Per i monaci intendo…)

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  4. Il monaco più appassionati di Heidegger è un sostenitore accanito di Bonhoffer proprio perché Dio non può colmare buchi quali la nostra necessità di un senso delle cose e Heidegger è molto su questa linea…

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    • Come? Dissento da quel monaco nel modo piu’ assoluto…se un monaco mi parlasse cosi’, cambierei giro immediatamente. Feci grossomodo cosi’, quando all’atto di confessarmi presso un padre mai incontrato prima (quello abituale era indisposto), questi nel breve colloquio mi disse:”qua non si prega, si fa!”. Guadagnai l’uscio e mi tenni alla larga…
      Io frequento ed ho amicizie in un monastero agostiniano e, a quanto mi risulti, nessuno legge Heidegger, anzi, guai solo a nominarlo..
      Cmq, frequentando confessioni maschili e femminili, in tanti anni ne ho visto di tutti i colori ed e’ capitato di incontrare pure un sacerdote santo, un’esperienza incredibile. Conosceva tutto lo scibile umano: lo Spirito Santo era in lui, e ti leggeva anche l’anima. E’ morto nel completo anonimato, in umilta’. Non verra’ mai riconosciuto santo perche’ nessuno postulera’ per lui ma, chi lo ha conosciuto, sa che lo era. 😇

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